Michela Cocco ha studiato per un anno in una High School negli Stati Uniti e ci racconta la sua storia.
Da dove partì l’idea di andare per un anno negli Stati Uniti?
L’idea di partire mi è venuta sentendo i racconti di alcuni studenti del Liceo che frequentavo. Mi raccontavano che avevano fatto un’esperienza bellissima, da vivere assolutamente e la frase che non mancava mai nei loro racconti era “vedrai che poi non vuoi più tornare indietro!”.
E così girando per i corridoi della scuola trovai appeso un poster che pubblicizzava un’agenzia di Milano che si occupa di studio all’estero, la Study Tours; presi il numero e bastò una telefonata ed un paio di email per prendere un appuntamento presso i loro uffici di Milano.
Di che parere erano i tuoi genitori, la famiglia, gli amici?
Mi ritengo fortunata in quanto ho una madre che mi ha sempre spronato e che è sempre stata disposta a fare sacrifici per farmi vivere esperienze che capitano once in a lifetime. La sua frase tipo è “Vai vai vai, se non le fai adesso queste esperienze quando le fai?”.
Mia sorella, di due anni più grande di me, era molto contenta quando venne a sapere che volevo partire e continuava a ripetermi che si era pentita di non aver fatto la stessa esperienza anche lei due anni prima.
Gli amici erano molto contenti per me ma non riuscivano a concepire il fatto che sarei stata lontana da casa per un anno, la vedevano come una cosa che loro non sarebbero mai stati in grado di fare, la vedevano diciamo un po’ come un’impresa!
Che conoscenza dell’Inglese avevi prima di partire?
Il mio era un inglese scolastico, il vocabolario era molto povero ma la grammatica l’avevo ben impressa nella mente. Con il listening me la cavavo bene finché si ascoltavano le registrazioni in classe e lo speaking era quel che era. Per poter partire ho dovuto svolgere un test d’inglese necessario per poter stabilire a che livello fossi. Fatto sta che il primo giorno di lezione nell’ High School americana mi sono demoralizzata subito in quanto non capivo una singola parola di quello che veniva detto! Ma poi mi sono abituata e riuscivo a capire tutto benissimo e ad interagire.
A che organizzazione ti sei affidata, come ha funzionato?
Mi sono rivolta alla Study Tours, in particolare all’agenzia di Milano. Il procedimento è molto semplice: inizialmente si hanno dei contatti telefonici con la persona che poi ti seguirà a distanza per tutto il viaggio in caso di bisogno.
Telefonicamente la mia responsabile mi spiegò bene come avrebbe funzionato a livello burocratico e quali sarebbero stati i pro e i contro dell’esperienza (ad esempio la difficoltà durante il primo periodo a causa della lontananza dalla famiglia e dagli amici, la difficoltà di adattarsi ad un altro stile di vita…). Mi ricordo che insistette molto sul fatto che non bisognava decidere di partire perché si voleva scappare da dei problemi verificatisi in Italia come ad esempio la fine di una relazione o il divorzio dei genitori e che non tutto sarebbe stato come nei film americani.
A quel punto, prima di prendere un appuntamento, mi lasciò il tempo di pensare; dopo pochi giorni la chiamai per fissare un incontro. Durante l’incontro mi fece compilare un modulo in cui dovevo descrivere me stessa, le mie abitudini, se praticavo qualche religione, se mi piacevano i bambini e gli animali e in cui potevo esprimere le mie preferenze sugli Stati un cui mi sarebbe piaciuto vivere per un anno.
Su quest’ultimo punto la mia responsabile ci tenne subito a precisare che le probabilità di andare in uno Stato da me indicato erano molto basse in quanto la cosa importante non era tanto andare in un posto bello ma piuttosto trovare una famiglia adatta a me.
Tengo quindi a dire di non scegliere un’agenzia piuttosto che un’altra solo perché questa promette di mandarvi in California piuttosto che a New York.
La mia destinazione finale infatti non rientrò nelle mie preferenze e fu Atlanta, precisamente a Marietta.
Oltre a questo, l’agenzia si occupa anche di preparare tutto ciò che serve per il visto, per l’assicurazione medica e per l’High School che si andrà a frequentare. Gli incontri in totale mi sembra di ricordare che siano stati 3; dopodiché non ho dovuto far altro che aspettare la chiamata in cui mi dicessero che la famiglia adatta a me era stata trovata e che ero pronta per partire. La chiamata arrivò luglio e il 4 agosto partii.
Ci dai un’idea dei costi?
La quota da pagare all’agenzia fu di circa 6000 €, a questo bisogna aggiungere le spese per il volo che variano a seconda del periodo e della destinazione. Per andare invece in Inghilterra o in Australia la quota era di circa 10000 € in quanto vengono pagate anche le famiglie che ospitano lo studente. Per quanto riguarda il volo ci sono due opzioni: la ricerca autonoma oppure la delega all’agenzia. Nel mio caso ho fatto da me e ho prenotato il volo in Internet.
Le spese da sostenere in loco sono solo quelle personali, nel senso che tutto quello che si fa con la host family non è a carico dello studente.
Come sei stata accolta dai tuoi coetanei statunitensi?
All’inizio fu un po’ difficile in quanto non riuscivo a comunicare bene a causa della lingua, ma andando avanti con le settimane era sempre meglio. Sono stata fortunata perché a scuola, la George Walton Comprehensive High School di Marietta, ho incontrato delle ragazze che l’anno prima erano diventate molto amiche della studentessa brasiliana che era stata ospitata dalla mia stessa host family.
Ci descrivi la giornata tipica in una High School negli Stati Uniti?
La giornata tipica è molto simile a quello che vediamo nei film americani. La mattina si prende il famosissimo pullman giallo, niente zaino ma libri in mano oppure nell’armadietto personale. Per prima cosa si fa l’appello, che però funziona in modo molto diverso dal nostro.
Gli studenti vengono divisi in gruppi in ordine alfabetico e viene assegnata loro un’aula detta Homeroom dove trovarsi prima delle lezioni per fare l’appello, leggere le circolari e guardare il tg fatto dagli studenti della scuola dove danno notizie relative ai successi sportivi delle squadre dell’high school e leggono comunicazioni varie.
Le lezioni durano dalle 8.30 alle 15.30 e tra una lezione e l’altra si ha un quarto d’ora di tempo per cambiare aula e passare dall’armadietto a prendere i libri; ogni lezione si hanno compagni di classe diversi in quanto non tutti frequentano gli stessi corsi ma ognuno si sceglie il proprio percorso. Le uniche materie obbligatorie per quanto riguarda il Junior Year ( 3° anno dei 4 totali) sono US History, US Literature e Mathematics le altre 3 materie sono a scelta. Gli studenti del primo anno vengono chiamati Freshman, quelli del secondo Sophmore, poi Junior ed infine Senior quelli dell’ultimo.
Per il pranzo c’è a disposizione un’ora di tempo e si svolge nella “cafeteria”, la scelta non è molto vasta e soprattutto non ha niente a che fare con quello che si è abituati a mangiare in Italia.
Dopo la fine delle lezioni si praticano gli sport o si partecipa ai club, se qualcuno invece non è impegnato in nessuna di queste attività riprende il famoso pullman giallo e torna a casa.
Il giorno prima di un evento sportivo importante per la scuola le lezioni saltano perché ci si ritrova tutti al campo di football per il Pep rally, una manifestazione che serve per incoraggiare la squadra e dove si esibiscono le majorette e la banda. A questi eventi si va tutti vestiti con i gadget della scuola che si possono trovare nel negozio all’interno dell’istituto stesso.
Cosa hai imparato su te stessa?
Quando sono partita ero poco più di una bambina, avevo solo 16 anni. Questa esperienza mi ha fatto crescere molto e mi ha fatto capire quanto veramente siano diverse le culture nel mondo e quanto sia bello conoscerle. Non solo ho imparato qualcosa della cultura americana, ma ho avuto modo anche di confrontarmi con indiani, iraniani, coreani e sud americani.
Dal punto di vista umano sono cresciuta tantissimo e ho scoperto un lato di me che non conoscevo: la mia host family aveva una bambina di 1 anno e come idea mi spaventava un po’ in quanto non ero mai stata “quella dei bambini”; ma stando con loro mi sono ricreduta e adesso che ormai ha già 6 anni siamo come sorelle. L’homesickness, ossia la nostalgia di casa, è stata la cosa più difficile da superare e una volta messa da parte sono riuscita a godermi tutto al meglio tanto da non voler più tornare a casa!
Che consigli daresti ai giovani che sognano di fare un’esperienza simile?
A me piace molto parlare della mia esperienza in modo positivo anche se ci sono stati periodi di difficoltà perché credo che ne valga la pena “soffrire” inizialmente per poi godere di tutto ciò che un’esperienza del genere può offrire.
Consiglio a tutti di viverla e di non demoralizzarsi se inizialmente non si è a proprio agio con la famiglia, con la lingua e a scuola; è una cosa normalissima che passerà. Fino ad ora è la più bella esperienza che mi sia capitata e tutt’oggi sono quasi quotidianamente in contatto con la famiglia che mi ha ospitato che ormai mi considera come una figlia.
A chi parte consiglio sempre di lasciare l’italianità in Italia e di aprirsi il più possibile e la frase che non manca mai è “vedrai che poi non vuoi più tornare indietro!” e soprattutto “Don’t cheat at school!” ossia non copiare durante le verifiche perché è una cosa che veramente ti mette nei guai!
Ed ai loro genitori?
Capisco che per i genitori è molto difficile pensare di avere un figlio lontano da casa per 4, 6 o 10 mesi come nel mio caso, ma lasciare che il proprio figlio viva un’esperienza come quella che ho vissuto io è il regalo più grande che gli possano fare. La ritengo dunque un’esperienza che fa crescere sì lo studente, ma anche i genitori.
Dopo 5 anni mia madre mi continua a ripetere che è proprio contenta di aver fatto alcuni sacrifici per avermi mandato negli States e proprio in questo periodo ci stiamo organizzando per la mia prossima partenza: destinazione Melbourne!
Eh sì! Perché una volta che inizi a girare non vuoi più smettere!
Grazie Michela ed in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri!
bella intervista, bellissima esperienza…peccato non averci pensato quando potevo farlo.purtroppo,sopratutto al sud,si pensa solo a finirla la scuola,figurarsi all’estero!
ciao